Cultura

Breve guida al consumo sostenibile – Dieci anni sostenibili

Consumo sostenibile

Abbiamo dieci anni per invertire la rotta e dare alle future generazioni un pianeta migliore. Per farlo, ecco cinque passi per rendere il nostro consumo quotidiano più sostenibile.


Gli anni ’20 del secolo scorso hanno rappresentato l’apice del benessere e della ricchezza, con oro, sfarzo, fiumi di champagne e musica Charleston. Gli esperti hanno già soprannominato il secondo decennio di questo secolo: “Il decennio della sostenibilità”. Abbiamo infatti appena dieci anni per fare qualcosa e riuscire a invertire la rotta dell’emergenza climatica e continuare ad avere un pianeta su cui abitare. Grazie agli interventi di Greta Thunberg si è risvegliata una qualche coscienza collettiva e molte più persone hanno iniziato a preoccuparsi della loro impronta ambientale. Troppo spesso però ciò a cui ci si rivolge è la raccolta differenziata, sbandierata anche dai media come principale e migliore azione da effettuare.

La situazione è molto complessa e un programma di riciclo, non sempre attuabile, non è la soluzione. Purtroppo, nessuno ha ancora sviluppato un sistema per risolvere in modo definitivo la questione: sono in gioco troppe variabili, tra cui la condizione di una persona, le sue esigenze mediche, il lavoro che svolge, i servizi a cui ha accesso. Sicuramente, però, esistono alcuni piccoli cambiamenti che, apportati alla nostra vita quotidiana, possono iniziare a smuovere qualcosa in maniera efficace.

1. Ridurre

La cosa da cui tutti dobbiamo partire è ridurre il nostro consumo, sia per i rifiuti che per le emissioni che da essi derivano. Il sistema capitalistico in cui viviamo ci illude di aver bisogno di una quantità spropositata di beni materiali per essere davvero felici. La fabbricazione costante di oggetti sempre nuovi, magari di bassa qualità, comporta uno spreco immenso di risorse, oltre, come sappiamo, allo sfruttamento di lavoratori nei paesi poveri. Poiché il mercato produce su richiesta, se questa diminuisse, molte aziende sarebbero costrette ad un cambiamento. 

Ridurre i nostri consumi, quindi, inizia nel momento in cui acquistiamo un oggetto. Ognuno dovrebbe chiedersi se ha davvero bisogno di questo, se arricchirebbe la sua vita o sarebbe dimenticato dopo un mese, se possiede già qualcosa che può adoperare al suo posto, se è sicuro di voler dare i propri soldi a questa azienda. Solamente così, allenandoci a pensare in modo consapevole, si eviterebbero tanti acquisti superflui.

Sarebbe utile provare anche a ridurre quello che possediamo. Faccio un esempio pratico: in ogni casa c’è una cabina piena di prodotti per la pulizia: sgrassatore, multiuso, prodotti per i pavimenti, per il vetro, per il marmo… Riuscendo a trovare un articolo che valga per due o tre, o facendo proprio a meno di qualcosa, si diminuirebbe la quantità di sostanze tossiche all’interno delle nostre case e anche quella dei relativi imballaggi.

Lo trovo anche un modo utile per riuscire a renderci conto di cosa si trova in casa nostra. Molto spesso, infatti, compriamo oggetti che possediamo già o che potremmo sostituire con qualcos’altro. Sforzarsi di cercare alternative ad un eventuale acquisto è un grande esercizio di inventiva che aiuta anche a risparmiare dei soldi. Oppure potremmo porci come buon proposito per questo 2020 di finire tutte le creme che prendono polvere da Natale 2015 prima di comprarne una nuova.

Una riduzione di questo tipo andrebbe applicata soprattutto al settore alimentare. La maggior parte delle emissioni di gas serra derivano dagli allevamenti, sia perché gli animali producono molto metano, un gas serra molto potente, sia perché vengono deforestati migliaia di acri ogni anno per fare spazio alle coltivazioni del loro mangime. È quindi indispensabile ridurre drasticamente il consumo di derivati animali, senza diventare necessariamente vegetariani o vegani. Per esempio, sarebbe già un inizio scegliere una crema al cioccolato vegetale al posto della Nutella. Può diventare un’ottima occasione per sperimentare nuove ricette e variare la nostra dieta con legumi e vegetali.

2. Riutilizzare

Consumo sostenibile
Riutilizzare, per un consumo sostenibile.

Quando si parla di riutilizzo, la prima cosa che viene in mente è una fila di barattoli di vetro riempiti di pasta o riso. Credo però sia necessario ampliare questo concetto. Un’idea di riuso è quella di acquistare oggetti di seconda mano. È un genere di mercato popolare in altri paesi d’Europa, qui in Italia associato ai banchetti della Caritas o ai negozi vintage. 

Pensiamo però: quante volte ci siamo ritrovati l’armadio pieno di abiti mai indossati, magari con ancora il prezzo attaccato? Potrebbero benissimo essere usati da un’altra persona, che li amerebbe e indosserebbe come noi non abbiamo mai fatto, creando allo stesso tempo un commercio che non impiegherebbe ulteriori risorse in nuovi oggetti, quando il mondo ne è pieno. 

Si collega anche con il punto precedente, riutilizzando qualcosa che abbiamo al posto di fare un acquisto. Per esempio, se in estate amate molto granite e frullati, potete portare un barattolo vuoto e pulito al bar invece di farvi dare la tazzina di plastica usa e getta.

3. Riciclare

Consumo sostenibile
Riciclare, per un consumo sostenibile.

Come già detto prima, nell’immaginario collettivo il riciclo sembra essere la soluzione al problema dei rifiuti. In realtà dovrebbe essere considerato come ultima spiaggia e bisognerebbe concentrarsi su ridurre e riutilizzare gli oggetti. La maggior parte dei prodotti, infatti, non è realmente riciclabile: spesso vengono accoppiati tra loro diversi materiali, che è impossibile differenziare. 

La cosa è difficile anche con materiali puri. Un unico tipo di plastica, quello delle bottigliette, viene effettivamente riciclato e solo se di colore azzurrino o trasparente. In molti casi, infatti, non è possibile garantire la stessa prestazione del materiale originale. 

Per questo, a mio avviso, la cosa migliore da fare, ancora una volta, è essere creativi e cercare di trovare alternative a tutto quello che andrebbe altrimenti a finire nella spazzatura. Un esempio può essere la carta da regalo, generalmente formata da un misto di plastica e carta, che andrebbe quindi nell’indifferenziato. Al suo posto si può tranquillamente usare la carta marrone dei pacchi, magari decorandola per renderla più carina.

4. Compost

Se diamo un’occhiata al bidone dell’indifferenziata, scopriamo che la maggior parte dei rifiuti che produciamo deriva da scarti alimentari: gusci d’uovo, bucce di frutta e verdura, croste di formaggio… Se lasciati a marcire in discarica, questi contribuiscono all’aumento dei gas serra, soprattutto del metano. 

Anche in questo caso il primo suggerimento sarebbe quello di cercare di ridurre, utilizzando in modo alternativo gli scarti. Per il prossimo Natale si potrebbero creare delle decorazioni bellissime e profumate dalle bucce d’arancia. Quelle delle patate, invece, si possono friggere per ottenere delle ottime chips.

Quando questo non è possibile, l’ideale è “compostare”, ovverosia creare un ambiente adatto alla proliferazione di micro e macrorganismi, i quali degradano le sostanze, rendendole una sorta di terriccio ricco di nutrienti per il terreno. Questo processo è più facile per chi ha un orto o un giardino, dato che le compostiere sono piuttosto grandi e ingombranti. Chi vive in appartamento o chi non ha tempo può però organizzarsi, magari portando gli scarti al suo fruttivendolo di fiducia o ad una delle stazioni di compostaggio che stanno pian piano nascendo in tutta Italia.

Compost, per un consumo sostenibile.

5. Acquisto sostenibile

L’ultimo punto che desidero trattare riguarda le aziende che si proclamano “sostenibili” o “zero waste”. Visto che le tematiche ambientali sono diventate un trend, diversi marchi hanno iniziato a mettere sui loro articoli parole come “green”, “sostenibile” o “salvaguardia del pianeta” per attrarre clienti;azione chiamata “greenwashing”. Acquistare qualcosa, soprattutto un prodotto nuovo, equivale a votare, perché il mercato si indirizza in base alla richiesta, per cui è importante informarsi sulle aziende a cui vanno i propri soldi, come ci si informa sulle liste durante le elezioni.

Grazie ad Internet quasi ogni marchio ha un proprio sito. Se parlano dei materiali che usano, della loro lavorazione, delle condizioni dei lavoratori, generalmente non hanno scheletri nell’armadio. Qualora queste informazioni mancassero, chiedete: domandate tutto e anche di più, chiedete degli imballaggi, se ne usano oppure no, chiedete dei materiali che usano e perché li abbiano scelti, chiedete se hanno intenzione di investire verso una produzione più sostenibile. Documentatevi su di loro, controllate se fanno parte di qualche multinazionale, verificate che i loro imballaggi siano riusabili o riciclabili e se produrrete dei rifiuti una volta finito quel prodotto.

Selezionate con cura su chi investire i vostri soldi e fate in modo che sia per un qualcosa di utile e duraturo. Scegliete materiali resistenti, come legni e acciaio, che vi facciano venire voglia di usarli ogni giorno e ripararli se si rompono, duraturi al punto da resistere al tempo. Questa è la ragione per cui stiamo diventando tutti più attenti al nostro consumo: cercare di lasciare il pianeta alle future generazioni

Alice Buselli


Breve guida al consumo sostenibile è il primo articolo del ciclo Dieci anni sostenibili. Per approfondire:

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